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Roma-Genoa 0-0: brutta partita con farsa finale di Abisso e VAR.

All’Olimpico tra giallorossi e rossoblu vince la noia.

printDi :: 10 febbraio 2022 12:29
Roma-Genoa 0-0: brutta partita con farsa finale di Abisso e VAR.

(AGR) Al di là del risultato finale, che può essere anche uno 0-0, una partita viene catalogata come ‘giocata bene’ quando entrambe le squadre in campo sfoggiano intelligenza tattica e qualità tecniche, velocità di esecuzione e varietà di schemi, continui capovolgimenti di fronte, tali da mantenere il risultato finale sempre sul filo dell’incertezza, e inesauribile voglia di superarsi fino al triplice fischio finale. È la presenza di queste componenti che soddisfa i palati calcistici di qualsiasi latitudine, a far sì che una partita venga definita ‘bella’ e spinga a tornare allo stadio o a rinnovare l’abbonamento. Nella gara dell’Olimpico quelle componenti son sono mai esistite, il che ha fatto sì che Roma-Genoa non potesse essere catalogata come ‘bella’, ma fosse, piuttosto, da annoverare tra le tante, brutte partite disputate dalla squadra giallorossa nella corrente stagione. All’Olimpico era di scena un Genoa povero di punti, appena tredici, quarantacinque goal al passivo – una media spaventosa di quasi due goal a partita incassati – e un attacco praticamente asfittico con appena venti goal in ventitre gare di campionato: non era forse scontato che i rossoblu sarebbero venuti a Roma con l’intento di portare via un puntarello e che, a tal fine, avrebbero fatto le barricate o, quantomeno, avrebbero cercato di addormentare la partita badando bene a non svegliare il cane che dormiva, ora gettando palloni in tribuna, ora ritardando i rinvii, ora commettendo falli a più non posso, ora rimanendo mezzora stesi sull’erba ogni volta che venivano sfiorati, in due parole cercare di portare a termine la gara senza giocarla? E si può rimproverare questa condotta a una squadra che cerca di salvarsi? Aiutati dall’abulia e dalla mancanza di personalità dei giocatori giallorossi, la puntarello-mission veniva portata a termine egregiamente e alla fine Sirigu e compagnia cantante si abbracciavano ome se avessero vinto la Champions League. Al Genoa, dunque, non si può rimproverare proprio nulla: ha fatto la sua partita e portato via il punticino, che se non altro muove la sua classifica, guadagnandolo a spese di una Roma che ha dato la pessima impressione di essere entrata in campo solo per onor di firma e nient’altro. La vittoria era largamente alla portata della Roma. Se, sulla carta, per la squadra giallorossa si poteva ipotizzare una giornata abbastanza ‘facile’, nella realtà, la sensazione che ci aveva assalito fin dalle prime battute di gara, cioè che quella dei giallorossi sarebbe stata la solita partita scialba e senza carattere, col trascorrere dei minuti è diventata certezza. Ben prevedibile essendo il tipo di atteggiamento che avrebbe tenuto il Genoa, la Roma avrebbe dovuto cercare di chiudere la partita già nel primo tempo. Cosa che, naturalmente, i giallorossi si sono ben guardati dal fare, persistendo invece nell’orribile tran tran fatto di niente, cui i tifosi romanisti sono ormai adusi, interrotto da un lampo di Zaniolo che pescava bene Oliveira, questi calciava in corsa da buona posizione ma il pallone finiva a lato e l’occasione sfumava. Rara avis, quello di Oliveira rimaneva l’unico tiro in porta giallorosso. Nella ripresa, la Roma menava sì le danze ma senza riuscire a sbrogliare la matassa Genoa: troppo prevedibili, talvolta macchinose e scontate, le fiacche iniziative giallorosse non riuscivano mai ad impensierire Sturaro and company. Loro, i genoani, rimanevano lì, larghi ma rincantucciati nella propria metà campo, ordinati nel ripiegare, randellando quando necessario, mai scoprendosi più del dovuto. In sostanza, la gara non usciva mai dall’opacità in cui era stata relegata fin dal primo minuto dall’inerzia che genoani e romanisti evidenziavano con l’andare dei minuti. Quanto ai motivi di quel menare noioso della gara da parte di entrambe, se apparivano giustificati e chiarissimi da una parte, quella rossoblu, risultavano del tutto incomprensibili dall’altra, quella giallorossa: è vero o no che la Roma punta all’Europa? E allora cos’è quella roba lì? Perché tutti quegli errori ed orrori, quelle incertezze, quei cincischiamenti, quel balbettare calcio? Perché anche al più sprovveduto dei tifosi romanisti veniva da pensare che quella cui stava assistendo fosse una partita di fine stagione, giocata da due squadre che non avevano più niente da chiedere al campionato perché ormai tutto è deciso, portata avanti tra noia e sbadigli sugli spalti e tra gli abbonati? Lanciata, almeno nelle intenzioni della Proprietà, all’inseguimento dell’Europa, la Roma doveva fare un paio di cosette abbastanza ovvie: mantenere la partita ad una costante velocità di crociera, cosa che avrebbe evitato alla gara di scadere a quei ritmi blandi voluti dal Genoa, e sfruttare al massimo i vantaggi che indubbiamente aveva dalla sua: il fattore campo, la migliore condizione psico-fisica, il livello di qualità decisamente superiore. La Roma ha fatto…nulla per vincere. Un po’ pochino, considerando il non pervenuto del Genoa per tutta la gara. Con il pareggio dell’Olimpico, la Roma ha gettato via un’altra chance per inserirsi nel novero delle aspiranti all’Europa. Di Roma-Genoa sono ben pochi gli episodi che hanno impedito agli spettatori di cadere nel sonno più profondo: il goal fallito da Smalling all’inizio della ripresa (pallone preciso di Karsdorp, colpito di testa dall’inglese da buona posizione, che però non centra neanche lo specchio della porta), cui segue, al 70’ l’espulsione diretta di Ostigard per fallo su Felix Afena, giusta, che concede alla Roma un ulteriore vantaggio, oltre quelli di cui sopra, del quale, però, i giallorossi non sanno che farsene, andando avanti, sì, ma con manovre lente, facilmente contenute dai genoani. Viene da domandarsi cos’altro serva alla Roma per vincere: ah già, un goal! Ma c’è qualcuno che voglia tirare in porta? Ormai manca solo il tempo del recupero, è già il 90’ quando Zaniolo riceve palla al limite, si gira e fulmina Sirigu con un rasoterra che l’estremo difensore genoano neanche vede. È il goal che decreterebbe una vittoria non proprio meritata, ma che ti metti a fare questioni di estetica: basta vincere, no matter how, o no? Nel calcio, come in altri sport, non esiste il principio del ‘Chi gioca meglio è giusto che vinca’ o ‘In una bella partita il risultato giusto è il pareggio’ o, ancora ‘Una brutta partita è giusto che finisca in pareggio’. Nel football, l’eventualità della squadretta che piazza il colpo gobbo ai danni dello squadrone è sempre presente, come è del tutto possibile che una partita brutta e giocata male venga schiodata in pieno recupero e dia una vittoria mai neanche sognata. Si può argomentare che, per quanto fatto vedere da Abraham, Cristante e compagnia bella, la vittoria della Roma sarebbe stato un troppa grazia Sant’Anto’. Tuttavia, è ben noto a chiunque abbia praticato o pratichi qualsiasi sport, che non sempre la vittoria va a chi se la merita. E questo è praticamente un assioma ben presente nel calcio. In merito, andate a vedere, amici lettori, quante volte la vittoria ha arriso a squadre o atleti che non la meritavano o che avevano giocato male. I peana dell’Olimpico si spengono quando Var chiama Abisso Rosario da Palermo, l’arbitro corre alla verifica e dopo sei secondi annulla il goal. Dice che c’è un fallo di Abraham su Vasquez, quindi niente goal, si riprenderà con un calcio di punizione, inesistente, a favore del Genoa. A Zaniolo probabilmente va il sangue agli occhi, l’incazzatura del ragazzo è a dir poco tremenda, per tre volte rivolge la stessa domanda all’arbitro che alla fine, spazientito, gli sbatte in faccia il cartellino rosso e il carrarese finisce la partita anticipatamente. D’accordo, est modus in rebus, ma è universalmente noto che il dialetto romano è molto diretto ed esplicito, diciamo così, e può capitare che una frase detta con un tono che per un quirite è normale, per uno che viene da chissà dove magari può suonare offensiva e arrogante. Ora, nel comminare le giornate di squalifica, c’è da sperare che chi di dovere tenga conto del momento emotivo in cui tutto è successo: faccio un goal da favola, sento l’abbraccio fortissimo dell’Olimpico, il che non è poco dopo quello che ho passato, e poi la mia opera d’arte mi viene annullata non so bene per cosa. L’incazzatura di Zaniolo è più che giustificata. È la cosa turpe fatta da VAR e poi da Abisso Rosario da Palermo a non avere alcuna giustificazione. Andiamo a rivedere l’azione, tutta l’azione, non solo la parte finale, come probabilmente ha fatto Abisso Rosario da Palermo: Abraham è il portatore di palla, alza gli occhi e vede Zaniolo piazzato al limite dell’area e alza il piede per calciare: è in questo preciso istante che interviene il bravo Johan Felipe Vásquez Ibarra. Nel tentativo di non far partire il pallone diretto a Zaniolo (che non riuscirà, tant’è vero che di lì a qualche secondo il pallone arriverà a destinazione e Nicolò realizzerà), un piede del bravo ragazzo da Navojoa, Messico, finisce sotto quello del londinese di Camberwell: accade, cioè, esattamente il contrario di quanto visto dai quattro amici al VAR: è il piede di Vasquez che va sotto quello di Abraham, non è l’inglese che rifila il pestone al messicano. Come detto, l’azione prosegue, il pallone arriva a Zaniolo, goal e delirio giallorosso. Abbiamo visto e rivisto l’azione, tutta, dall’inizio, e ogni volta abbiamo fatto fatica a capire perché il VAR abbia chiamato Abisso Rosario da Palermo alla verifica: la dinamica dell’azione è chiarissima. Abraham, quale portatore di palla non può mai fare fallo. Il pestone arriva per contrasto di gioco, quindi non è un fallo, quindi il goal di Zaniolo è valido. Ammesso e non concesso che dal VAR abbiano visto male – il che, visti i precedenti, è senz’altro probabile – risulta incomprensibile il perché l’arbitro sia tornato sulla sua decisione dopo la verifica, del tutto inutile, visto che non c’era proprio niente da verificare. Dopo la verifica, Abisso avrebbe dovuto restare fermo sulla sua decisione e confermare la validità del goal della Roma, e, quindi, di non considerare fallo, ma semplicemente contrasto di gioco, il pestone rimediato da Vasquez, proprio in virtù del metro di giudizio da lui adottato per tutta la partita, dove non sono mancati calci, calcetti, gomitate, tirate di maglia e sgambetti, tutte scorrettezze evidenti che il più che mediocre fischietto palermitano ha lasciato correre, probabilmente tra la sorpresa degli stessi autori dei falli. D’accordo, lo scrupolo di coscienza – hai visto mai che magari quelli del VAR hanno ragione – ma concedere una punizione inesistente e annullare il goal, sconfessando così platealmente il proprio operato, appare eccessivo anche a chi ha scoperto il gioco del calcio solo da qualche minuto. Il sorprendente ‘rimangiarsi il tutto’ dell’Abisso Rosario da Palermo sa tanto di serviliter. Di fatto, è una evidente quanto plateale ammissione di incapacità a dirigere partite di calcio, un clamoroso, pesantissimo autogol che potrebbe tenerlo lontano dai campi di gioco per un bel pezzo. Per il bene del calcio, lo auspichiamo. Cosa abbia visto Abisso potrebbe rimanere un mistero, a meno che non sia lui stesso a fornire una spiegazione, seria e credibile, del suo operato. Abbiamo già scritto delle malefatte arbitrali ai danni della Roma, a causa del ripetersi delle quali non pochi tifosi giallorossi cominciano a parlare di antipatie e simpatie, di persecuzione e aperta ostilità, di complotti. Le antipatie e simpatie nello sport come nel sociale sono sempre esistite, e riteniamo che ce ne saranno ancora e di più da qui all’eternità poiché fanno entrambe parte dell’animo umano, in molti casi essendo destinate a ‘maturare’, l’una sfociando magari in guerra aperta e l’altra in amicizia duratura. Riguardo, invece alle sensazioni che serpeggiano tra i tifosi romanisti, non c’è dubbio che, essendo corroborate dagli evidentissimi abbagli arbitrali che ormai ad ogni partita danneggiano la Roma, esse non sono del tutto campate in aria. Purtroppo per la tifoseria romanista, però, non vi sarà mai certezza se quegli errori vengano commessi in buona o mala fede. Allargando il discorso, più in generale, se un errore poteva esserci quando non c’era il VAR, ora, grazie a quello strumento di supporto, alle cantonate arbitrali si affiancano, a quanto risulta sempre più di frequente, quelle del pacchetto VAR. Insomma, ‘grazie’ a quello strumento viene gettata benzina sul fuoco. Essendo innamorati di questo gioco e seguendone quotidianamente gli eventi ormai da decenni, lasceremmo da parte persecuzioni, aperte ostilità e complotti che di volta in volta prenderebbero di mira questa o quella squadra o società. Varrebbe la pena, semmai, chiedersi il perché quegli errori si ripetano con così alta frequenza, apparendo, per tale fatto, il frutto di malafede, complotti, persecuzioni e ostilità aperta o, peggio, andando oltre, facendo ipotizzare che forse ci sono stanze il cui accesso è proibito a tanti e permesso a pochi non si sa bene a quale titolo, e, ancora, come sia possibile che ciò possa accadere, ma, soprattutto, chi decide permessi e divieti e chi controlla i controllori. Per l’importanza enorme che il calcio riveste nel nostro paese in campo sportivo, economico e sociale, sarebbe ormai tempo che questo terreno venga sgombrato da ombre, sospetti, ambiguità, equivoci e zone grigie, magari inserendo nei post partita interviste chiarificanti a var e arbitri. Ne guadagnerebbe la trasparenza. Basta avere la volontà di farlo.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                RENATO BERGAMI

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