Prima giornata nazionale anticontraffazione a Roma

Gen.le di Corpo d'Armata Nino Di Paolo - Comandante Generale della Guardia di Finanza

Nel primo scorcio dell’anno è aumentato in maniera esponenziale (+476%) il numero degli arresti per associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione e sono stati sottoposti a sequestro oltre 40 milioni di euro di proventi illeciti che costituiscono il frutto o il reimpiego del mercato del falso.
Secondo la Confcommercio la produzione e lo smercio di prodotti taroccati non procura solo ingenti danni all’apparato produttivo e distributivo. Dietro di essa operano in realtà vere e proprie industrie, oltre a gruppi malavitosi molto potenti e forniti di ingenti capitali.
Quando si parla di falsi, resiste nell’immaginario di molti l’idea del povero diavolo, quasi sempre un extracomunitario, con la sua “bancarella” improvvisata, in molti casi appena un lenzuolo steso per terra con la merce sopra, che sbarca il lunario vendendo la borsa di Vuitton falsa o la cinta taroccata di Armani. Stiamo parlando di un peccato, se di peccato vogliamo proprio parlare, a dir tanto veniale: quello che lui commette vendendo roba fasulla e, soprattutto, noi comprandola. A rivelare che ci sentiamo poco colpevoli lo dicono diverse indagini psicologiche condotte in materia, che rivelano come il senso di colpa degli acquirenti di falsi sia minimo. In realtà, di “veniale” in materia di contraffazione c’è veramente molto poco. Anzi, in un ipotetico catechismo etico -economico, alimentare il mercato del taroccato è peccato che andrebbe invece rubricato tra quelli da scomunica. Intorno alla produzione e alla smercio dei falsi si muovono infatti ingentissimi capitali e prosperano gruppi malavitosi molto potenti. Senza contare gli ingenti danni che procura all’apparato produttivo e distributivo.
Il nostro paese è tr i primi posti nell’hit parade della circolazione di merce contraffatta. I numeri che il direttore dell'Agenzia delle Dogane Giuseppe Peleggi ha snocciolato nel corso di una recente audizione al Senato parlano da soli. Nel 2009 sono stati sequestrati circa trentasette milioni di pezzi, quasi il doppio rispetto al 2008. In mezzo c’erano scarpe, vestiti e accessori Nike, Chanel, Louis Vuitton, giocattoli Disney, sigarette Philip Morris, programmi Microsoft, per citare solo qualche nome famoso. In realtà, al mercato del similvero si può trovare davvero di tutto: profumi e auto, moto e medicine, racchette e mazze da golf, persino dentifrici e bottoni. Sembra ovvio, ma è sempre giusto ricordarlo: i numeri citati dai doganieri si riferiscono a quanto rimane impigliato nelle maglie dei controlli. Quindi le cifre da essi fornite sono molto lontane dal fotografare la reale entità del giro d’affari, che la Guardia di Finanza stima per la sola Italia fra i 3 e i 5 miliardi di euro l'anno. Quanto all’Europa, i falsi ogni anno si “mangiano” 7,5 miliardi di euro del fatturato delle industrie legali di abbigliamento e scarpe, 4,5 miliardi di quello delle aziende di cosmetica e farmaceutica, quasi 4 dei fabbricanti di giocattoli e attrezzi sportivi. Negli ultimi dieci anni il commercio mondiale di prodotti contraffatti è cresciuto otto volte più in fretta del commercio legittimo, arrivando attualmente all’astronomica cifra di 500 miliardi di dollari, cioè fra il 5 e il 10 per cento del prodotto mondiale. Insomma, quando qualche anno fa l’ex ministro dell’Industria venezuelano Moises Naim sostenne in un suo libro che la lotta contro le contraffazioni “è una delle grandi battaglie del nostro tempo”, non si può proprio dire che stesse esagerando...Dove c’è tanta “ciccia”, per di più illegale, è normale che la criminalità la faccia in un certo senso da padrona. Anzi, secondo molti solo la criminalità organizzata ha gli “agganci” giusti, le capacità, i fondi, per gestire questo traffico. Come dimostrano anche i recenti arresti effettuati in Calabria dopo un'indagine condotta dalla Direzione distrettuale antimafia reggina e dai doganieri. La ’Ndrangheta, che sta cercando da tempo di fare del porto di Gioia Tauro il buco della serratura per far entrare in Europa le merci contraffatte d'oriente, aveva messo in piedi un meccanismo ben oliato, capace di garantire ai produttori prezzi competitivi e controlli praticamente nulli, a se stessa guadagni favolosi. La cosa funzionava così. Due uomini d’affari cinesi si occupavano di importare in Italia prodotti per conto di numerose società. Compito della ‘Ndrangheta era di fare in modo che il passaggio delle merci avvenisse senza intoppi e a "tassa agevolata". Un servizio che veniva pagato con parte delle decine di migliaia di euro risparmiate per ogni container. E se qualcuno si metteva di traverso erano guai. Fondamentale per il buon esito dell’affaire era che nessuno ficcasse il naso nei container in arrivo dall’Oriente. Così, quando due nuovi funzionari hanno iniziato a bloccare container e a guardarci dentro, gli hanno fatto rapidamente capire che non era il caso. Al contrario di come succede di solito, prima con le cattive e poi con le buone: a uno hanno sparato mentre si trovava in auto, all'altro hanno inviato una busta con due bossoli calibro 38. Fino a quando non sono stati trasferiti, per “motivi di sicurezza”, e la cosa messa a tacere. Fatto che denuncia in modo evidente quale fitto intrico d’interessi si celi dietro questa vicenda (non a caso sono finiti in manette oltre ai boss e agli affiliati delle cosche, anche imprenditori e funzionari pubblici) e, più in generale, dietro l’industria del falso.
Un’industria che nasconde una realtà molto più complessa di quanto si è di solito portati a pensare e dove i confini tra lecito e illecito risultano a volte labili. Se infatti è grossolana l’idea che in fin dei conti si tratta “solo” di un povero diavolo che vende una borsa falsa, la convinzione che quella stessa borsa possa essere stata partorita da una “economia del sottoscala” è addirittura grottesca. Al contrario, a sfornare l’oggetto taroccato è un'industria capace di una produzione di massa, resa possibile dalla capacità di mobilitare ingenti capitali, di stare al passo con gli ultimi sviluppi della tecnologia, di tenere in piedi moderni sistemi di trasmissione, di trasporto e di logistica. Il lato paradossale della faccenda è che spesso a stare dietro a tutto questo è, anche se involontariamente, la stessa economia legale, che si premura lei stessa di fornire su un piatto d’argento i modelli da copiare. Le multinazionali, infatti, per tenere i prezzi bassi ed espandersi in fretta in tutto il mondo, hanno intrecciato una rete infinita di accordi di produzione soprattutto in Cina, Taiwan, Vietnam, dove non a caso nasce il grosso dei falsi. “È il lato oscuro della globalizzazione, bellezza - si potrebbe dire parafrasando Humphrey Bogart, e tu non puoi farci niente”. O forse sì. Si può provare, ad esempio, ad alzare una barriera nei paesi dove quest’ondata di falsi si riversa. In Italia ci sta provando l'Agenzia delle Dogane, che ha deciso di sferrare un attacco su più livelli, presidiando i punti-chiave del territorio (i porti), utilizzando nuovi metodi di indagine, monitorando l'intero cammino della merce. La sintonia fra l'Agenzia delle Dogane e Assoporti, l'associazione che riunisce tutte le autorità portuali italiane, mostra quantomeno il desiderio di affrontare i problemi dalla stessa parte.