Il Sistema Radiotelevisivo Italiano

Quanto si e’ verificato in questi anni non è altro che la concentrazione delle risorse radioelettriche in mano a pochi editori.
Basti pensare che di ciò che è avvenuto 17 anni fa non vi è più traccia: le tv private, le radio libere, quelle nate dalla passione dei ragazzi degli anni 70-80, sono state tutte fagocitate dai grandi gruppi editoriali e tutte le leggi che si sono succedute, dalla mitica 223/90, non hanno fatto altro che accentrare i mezzi in mano di pochi.
Il tutto rientra nellabeffa al cittadino dove oltre a pagare il canone TV, dalle tasse che versa vengono sottratti, si intende per legge, centinaia e centinaia di milioni di euro che rientrano nelle tasche di quei spregiudicati editori per la loro attività di informazione ( SIC…) con rimborsi esgravi sulle utenze. Chi ha più canali, più prende.>
Non è un caso quello che è accaduto ad AGRTV, piccola tv comunitaria, che si è vista chiudere con motivazioni surrettizie, senza alcuna attività di compatibilizzazione o di soluzioni alternative dall’Ispettorato di Roma, diretto dall’Ing. Giuseppe Mele. Alla faccia della democrazia.
Ebbene, se vogliamo che la democrazia non sia un concetto astratto e l’art. 21 della Costituzione non resti lettera morta è indispensabile che l’Organo Centrale del Ministero delle Comunicazioni, nella pienezza del suo ruolo, faccia sollecitamente le necessarie verifiche sull’operato dell’Ispettorato Territoriale del Lazio per evitare che, con la complicità di alcuni funzionari compiacenti, certi editori allarghino ulteriormente il proprio bacino di trasmissione a discapito di altri che, anche con scarsità di mezzi e di finanziamenti, compiono un’opera sociale riconosciuta nel territorio.
Sarebbe opportuno che, prima del 2012, il Ministero delle Comunicazioni ribilanciasse il sistema con un’equa ripartizione delle frequenze tramite il digitale terrestre.
Oggi chi detiene il canale, e l’unico programma trasmesso, è anche il proprietario dello stesso.
Con l’entrata a regime nel 2012 del digitale si dovrà lasciare disponibile il 50% dello spazio del multiplex ad altri editori e dovrà essere il Ministero ad assegnare il multiplex su quale l’editore dovrà accedere, evitando collegamenti con il proprietario del multiplex.
Tutto questo non può attendere il 2012. Cinque anni sono troppi per le aziende radiotelevisive che hanno già investito nella tecnologia digitale e sono in attesa di uno spazio nel multiplex di qualche editore altruista: il Ministero deve provvedere fin da subito ad accelerare la digitalizzazione degli impianti, favorendo l’accesso a nuovi editori e, soprattutto, controllando che non siano i vecchi a riciclarsi con società di comodo.
Occorre definire subito la piattaforma digitale: aspettare il 2012 significherebbe dare un vantaggio sproporzionato a soluzioni diverse, quali quelle proposte dai gestori telefonici, permettendo loro di inserirsi, in maniera impropria, sia nel sistema radiotelevisivo sia su piattaforme parallele per servizi interattivi, rendendo l’attuale tecnologia del digitale terrestre obsoleta prima della suo pieno utilizzo.
Questo continuo posticipare il passaggio dall’analogico al digitale non farà che danneggiare ulteriormente gli attuali ed i futuri operatori, costretti a “sperimentare”, con costi vivi, una piattaforma che sarà superata fra breve.
Dobbiamo prendere ad esempio la Valle d’Aosta e la Sardegna dove già si trasmette in digitale permettendo agli utenti di avere più offerta epiù servizi a disposizione.
Quindi il 2012 deve essere considerato come data ultima per spegnere l’ultimo impianto analogico: l’Amministrazione dovrà svolgere un importante ruolo di stimolo, al fine di accelerare i tempi di attuazione; superando le resistenze degli attuali utilizzatori analogici e dei rispettivi rappresentanti, di quelle associazioni di parte non sono interessate al cambiamento perché ritengono il digitale il grimaldello per scardinare la lobby dell’accesso al mondo delle telecomunicazioni.
Per l’interesse di pochi si danneggiano tanti editori che ancora hanno tanta voglia di fare e che oggi sono al palo.
Se veramente si vuole trasformare il sistema, modernizzandolo, è oggi che si deve intervenire, domani sarà troppo tardi.