L’Italia a tavola

La ricetta fu ideata dal farmacista Francesco Peloni nel 1875 ed ancora oggi è di proprietà della Peloni srl dei fratelli Tarantola in Valtellina. “Lo scorso anno – dice Egidio, fratello del giudice Giuseppe, salito agli onori della cronaca grazie al processo Cusani – abbiamo prodotto 570.000 litri di Braulio, raggiungendo un fatturato di 2 milioni di euro ed un utile del 10%”.
La scelta di cedere la fabbricazione del liquore è stata quasi obbligata per uscire dai ristretti confini della Lombardia dove fino a pochi anni fa si vendeva il 75% della produzione. “La nostra è l’unica azienda a conduzione familiare con una rete di distribuzione capillare, le persone sono sempre le stesse e non cambiano in continuazione come nelle moderne società di oggi”. Grazie a questa formula vincente la produzione di Braulio negli ultimi anni è salita di 20.000 litri, e l’azienda Averna di Caltanissetta resterà sempre di proprietà della stessa famiglia come lo è da 140 anni e 5 generazioni.
Il Braulio prende il nome da uno dei monti valtellinesi e viene invecchiato per due anni in botti di rovere nelle cantine di Bormio, prima di essere mandato nello stabilimento della Casoni a Finale Emilia per l’imbottigliamento. E’ composto da 13 erbe e piante officinali fatte essiccare all’aria aperta della montagna secondo una ricetta segreta in cui si possono trovare bacche di ginepro, assenzio, radici di genziana, achillea.
L’amaro Averna dello spot è invece a base di decine di sostanze naturali provenienti da tutto il mondo, e nel 1895 re Umberto I nominò l’azienda siciliana “fornitrice della Real Casa” concedendo l’uso del marchio tutt’ora riprodotto sulle bottiglie.
Per quanto riguarda invece uno dei prodotti tipici italiani maggiormente conosciuti al mondo, la palma della vittoria va anche quest’anno al Prosciutto di Parma, che ha conquistato tavole e palati sopraffini in Francia, Stati Uniti, Canada, Olanda, Danimarca e Svezia. Molto bene anche il preaffettato, che consente la rapidità dell’acquisto evitando le file al banco, e per oltre 2 milioni di prodotti annuali usciti dagli stabilimenti ed un giro d’affari italiano stimato in 177 milioni di euro, ben 800.000 prosciutti vanno all’estero, mentre altri 800.000 vengono messi in vaschetta. “La qualità e la forza del brand “Prosciutto di Parma” – sostiene Stefano Tedeschi, Presidente dell’omonimo Consorzio – hanno permesso alle nostre aziende di sentire meno la crisi internazionale, anche se per il prossimo anno gli esperti hanno previsto una contrazione dei consumi”.
Di qua o di là, il prosciutto è sempre una chicca che parla Italiano e al quale il mondo dei buongustai non intende rinunciare.
Alfredo Zavanone>