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Rui Patricio e Ibanez regalano il goal-derby alla Lazio.
Roma: centrocampo cercasi

Roma-Lazio 0-1

printDi :: 10 novembre 2022 20:49
Rui Patricio e Ibanez regalano il goal-derby alla Lazio.Roma: centrocampo cercasi

(AGR) Quando Rui Patricio e Ibanez, la strana coppia, calcisticamente parlando, combinano il pasticcio, i bianco-celesti non possono che ringraziare. A rivederlo, quel goal è una comica. Siamo al 20’, Rui Patricio con le mani manda verso Ibanez che è poco distante, alla sua sinistra, tenuto d’occhio da Pedro, lì a un paio di metri. In area, ma in gioco, c’è Felipe Anderson, che sembra sia lì per caso, più o meno fuori dell’area c’è Smalling, liberissimo, che se Rui Patricio gli desse il pallone non commetterebbe assolutamente peccato mortale. L’estremo difensore giallorosso, invece, ‘intelligentemente’, non avendo letto nulla di Guglielmo di Occam, manda verso Ibanez, che, forse colto alla sprovvista, nel senso che non si aspetta il passaggio, non va incontro al pallone mentre, al contrario, Pedro – se ha vinto tutto ciò che c’era da vincere ci sarà pure un motivo, voi che dite? – intuendo ciò che sta per accadere, con un balzo felino ruba palla al sorpresissimo Ibanez e poi, astutamente, invece di tirare in porta, che Rui Patricio l’avrebbe presa, la spedisce in area al già nominato Felipe Anderson, che prende la mira e fulmina il portiere romanista realizzando il goal-derby.

Appena il 20’ e il detto consolatorio ‘c’è tempo, c’è tempo…’ da questo momento servirà solo ad alimentare vane speranze della tifoseria romanista di riequilibrare la partita, peraltro mai alimentate dalla Roma in modo convincente. La Roma reagisce solo al 33’, ma il pallone, calciato da Zaniolo dal limite, è intercettato da Marusic e finisce sulla traversa. Poi più nulla fino al 67’, quando Abraham e Zaniolo sprecano a quasi tu per tu col portiere laziale Provedel. Nella ripresa Mourinho manda dentro Celik per Mancini al 46’, Volpato per Pellegrini al 53’, El Shaarawy per Karsdorp al 63’, e infine, al 73’ Belotti per Camara e Matic per Zalewski, ma il risultato non cambia, anzi, al 73’, in qualche modo attenuando il disappunto della tifoseria nei suoi confronti, Rui Patricio nega il 2-0 alla Lazio con una paratona su fendente di Felipe Anderson. Forse la Roma, affacciatasi nei primi minuti di gara per ben due volte in area biancoceleste, aveva dato a vedere di avere più voglia e determinazione nel cercare di portare a casa i preziosissimi tre punti, poi però, col trascorrere dei minuti, ci si andava rendendo conto che, tolte quelle due iniziative, tutto il resto era noia.

 
Del resto, su quelle iniziative la Lazio era rimasta a guardare, ma si intuiva che il suo, più che un essere irretita dall’avversaria, in realtà era un atteggiamento dettato dalle circostanze – le due iniziative di cui sopra – che non una vera e propria scelta strategico-tattica. Perché, sicuramente, ce ne siamo accorti nel prosieguo anche la Lazio voleva vincere e se ad inizio gara se ne era rimasta lì, era solo fumo gettato negli occhi dell’avversaria. Della Lazio è ben nota la sua spigliatezza nell’affrontare qualsiasi avversaria e questo è uno dei suoi punti di forza, che tra l’altro è riuscita a mantenere nonostante l’indisponibilità di Immobile, perno fondamentale delle sue manovre offensive. L’assenza del capitano e goleador ha forzatamente obbligato Sarri a ridisegnare la squadra, rivederne l’assetto strategico-tattico, ma, ciò nonostante, non si è fatta sentire. Gli esiti positivi di recenti performance sono la conferma che le scelte operate dal tecnico si sono rivelate giuste.

Merito, naturalmente, anche e soprattutto della buona qualità dei suoi giocatori. In casa Roma, la sconfitta non pregiudica nulla, perché in termini di classifica sono tutti lì, ma impone qualche riflessione sullo stato attuale della Roma. In campo, la squadra giallorossa dà l’impressione di avere problemi di comunicazione tra i reparti, più che un solido impianto organizzativo – ne andrebbe bene anche uno di tipo tradizionale - inteso non solo come divisione dei compiti da svolgere, ma soprattutto come conoscenza stessa di essi.

Sonnolenta, compassata al limite della presupponenza, prevedibile, che non morde, con difesa, centrocampo, attacco, che, palesemente mal assortiti, più che formare un solido impianto dove attorno ad un nucleo-base di giocatori che facciano da costanti punti di riferimento venga fatta ruotare tutta la squadra in un continuum di iniziative e temi proposti, i reparti di questa Roma sembrano approntati su base settimanale, costruiti lì per lì, alla vigilia della gara, parecchio esagerando in estemporaneità, improvvisando, pensando più, o solo?, alla prossima gara che non, piuttosto, a cercare di assemblare gli elementi a disposizione avendo come obbiettivo quello di ‘trovare la squadra’, magari anche a costo di qualche sconfitta. Le statistiche di cui disponiamo indicano che, almeno fino a questa giornata di campionato, né in trasferta né all’Olimpico, non è mai stata schierata la squadra della gara precedente.

Il riferimento è tanto ai giocatori quanto ai ruoli, nel senso che magari è stata schierata una squadra con quattro, cinque undicesimi che hanno disputato la gara precedente, che poi vengono impiegati in ruoli diversi rispetto a quelli ricoperti appena tre giorni o una settimana prima. In questo interminabile turbinare di avvicendamenti, che probabilmente genera ansia e insicurezza nello spogliatoio, questo o quel giocatore, veterano o fresco di primavera che sia, arriva al punto che non ci si raccapezza più, non capisce più cosa gli viene chiesto di fare in campo, quali siano i suoi compiti. Di lì a commettere l’errore grossolano il passo è breve, brevissimo. Può capitare a chiunque, anche a top-player. In difesa, permangono le tantissime perplessità destate dalle performance dei difensori giallorossi.

A volte, Mancini, Vina, Ibanez, Smalling sembrano non sapere cosa fare con il pallone: quel continuo mia-tua-mia-tua condotto nella pericolosissima propria trequarti difensiva serve solo a mettere a dura prova le coronarie della tifoseria romanista: non poche volte, infatti, accade che al quarto passaggio, il pallone venga regalato agli avversari. La Roma, almeno fino a oggi, ha un centrocampo solo nominale: in quella parte di campo comunemente definita ‘centrocampo’, albergano, infatti, elementi che poco hanno a che fare con i concetti stessi di ‘mezzala’ e ‘mediano’, che, comunque, non possono essere definiti né registi né mediani; giocatori che magari saranno senz’altro bravi, ma che, almeno fino a oggi, quando sono stati chiamati a ricoprire quei ruoli, poco o nulla hanno fatto vedere della loro abilità. Pretese mezzale che tutto fanno meno che le mezzale, trovandole ora alla propria trequarti difensiva, ora a vagare ai cinquanta metri, sperdute tra le maglie avversarie, ora sottoporta tirare di piatto invece che di collo pieno e viceversa.

Una mezzala è una mezzala, un giocatore che è lì per costruire, inventare gioco, che è al servizio della squadra, che quindi non deve pretendere che la squadra ruoti intorno a lui. Il ‘daje de tacco daje de punta’ va bene quando stai vincendo 4-0 a un minuto dalla fine o nella partita tra amici – la quadra che perde paga la pizza – laddove più che a fare goal si pensa a buttare giù un po’di panza. I compiti di una mezzala sono, insomma, generalmente ben definiti. Certamente, un centrocampo competitivo, finalizzato cioè agli obiettivi della società, non è che possa essere costruito grazie a colpi di bacchetta magica – per quanto possa essere bravo e competente colui o coloro che sono chiamati ad operare su mercato – sta di fatto, però, che, tanto in campionato quanto in Europa, la Roma ha le sue aspettative.

In entrambe le competizioni il tempo stringe: nell’agone della Serie A, ti può andare bene una, due, tre volte, ma prima o dopo ti viene chiesto di pagare il conto; in quello europeo, le cose vanno ben diversamente: in Europa, in qualsiasi coppa europea, si gioca in modo diverso: il giochetto di rimessa, il contropiedino furbo o il tric-trac melenso – l’idiozia della ‘costruzione dal basso’ che permette agli avversari di guadagnare mezzo campo senza colpo ferire, che quasi ad ogni performance vediamo sui nostri campi – in Europa è bandito, nel senso che ormai con quei pretesi ‘accorgimenti’ ne prendi tre o quattro. Attualmente, la Roma ha in organico una sola mezzala: Pellegrini, ma ne servirebbero almeno altre due. In giro, di mezzale che potrebbero servire alla società giallorossa ce ne sono tante, di tutti i tipi.

Pellegrini, lo abbiamo già scritto tante volte, è un ottimo giocatore che ha classe da vendere, tanti numeri, ma non può da solo portare la croce e cantare: dovrebbe essere affiancato da un’altra mezzala e se proprio non fosse possibile, avere due mediani con i quali scambiare, rompere, ripartire e proporre. Quanto a costoro, i mediani, la Roma ne ha a disposizione un buon numero e di buona qualità. Quanto agli avanti, vogliamo ripeterci: Belotti sta raggiungendo gli standard dei compagni, mentre Abraham continua a non ritrovarsi: forse le voci sul suo futuro cominciano ad essere un po’ troppe. Ma la tifoseria romanista ha pazienza: lo aspetta. Quanto a Shomurodov, magari Mourinho potrebbe impiegarlo di più.                                                                                   

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