Roberto Maggi, nella mia poesia vive un mondo parallelo
Roberto Maggi, biologo, la poesia? E' un parallelo procedere di due attività. La scrittura è desiderio, spesso evasione da un percorso professionale. Con il tempo il mio lavoro ha "contaminato" la produzione, i miei testi sono pieni dell'amore per la natura.


Roberto Maggi
(AGR) di Ginevra Amadio
In molti componimenti della silloge “Scene da un interno” (Terra d’ulivi Edizioni), Roberto Maggi evade il presente, edifica un ponte tra l’attualità liquida – sospesa al di là delle contingenze, fatta di labili segni – e l’appartenenza a un tempo storico. Quest’opera, in cui confluiscono cinquantanove poesie scritte fra il 1983 e il 2019, è approdo parziale di un certo sguardo ‘dal margine’, corroborato dall’esperienza di scrittore-biologo, quasi un cammino ibrido, predisposto al contatto. Nato a Roma, laureato in Scienze Biologiche, Maggi compone opere di natura meditativa – testi colti, lontani dal bisogno di grandi storie. Amante della poesia – zona di incontro dei suoi interessi – pubblica la prima raccolta nel 2014, dal titolo “Schegge liquide” edita da Aletti Editore. Seguono apparizioni su varie antologie poetiche: “Federiciano 2014” (Aletti Editore); “Vivo da poeta” (Montecovello Editore, con); il racconto breve “Irish blues” nell’antologia “1000 parole” (Montecovello Editore, 2015). È del 2019 “Suites di fine anno” (Florestano Editore), raccolta di racconti seguita dall’antologia “Il diario della Natura” (Fuorilinea Edizioni). Mentre parliamo avverto l’urgenza di riallacciare i fili, di penetrare le necessità espressive, filosofiche, etiche della sua produzione.
A un certo momento del tuo percorso professionale hai avvertito l’esigenza di affiancare le parole ai dati scientifici. Come è avvenuta questa ‘conciliazione’?
“È una domanda a cui sono abituato ma reca con sé una traccia nuova, insolita, perché ogni volta è come ricominciare, riallacciare i fili della mia storia. Ho sempre scritto, per passione e necessità. Le prime poesie risalgono agli anni dell’adolescenza, quando scrivere era uno sbocco interiore, un desiderio dell’anima. Per questa ragione ho pubblicato in tarda età, non mi interessava valicare il confine dell’‘io’, del mio sentire privato. Poi le circostanze della vita mi hanno portato ad espormi, a dar voce – nero su bianco – a questa passione intima, celata – anche – nei cassetti della memoria. Con la prosa è stato diverso, ho avuto in mente un lettore ‘altro’, che seguisse le mie storie, in grado di abbattere il recinto del privato, del racconto per sé.
La formazione scientifica è stata un complemento, come un parallelo procedere di due attività. La scrittura è stata desiderio, a volte tarlo, infine evasione da un percorso professionale. Con il tempo il mio mestiere ha contaminato la produzione, alcuni testi recano tracce visibili, sono regesti di un’influenza che non posso negare. L’amore per la natura è parte della mia vita, tanto la poesia quanto la prosa ne sono contaminate”.
Da biologo, credi che la sfida del futuro si giocherà sul rispetto dell’ambiente, sull’acquisizione di una nuova coscienza?
“Sicuramente sì. L’urgenza ecologica si è fatta forte, talmente intensa da imporre un ripensamento di paradigmi, la costruzione di una nuova coscienza. Si tratta, a ben vedere, di un dato quasi ‘antico’, che ha un’origine radicata negli anni Settanta, quando intellettuali ed ecologisti denunciavano lo sfruttamento della terra, la perdita di riferimenti, la dicotomia (pasoliniana) sviluppo/progresso. Oggi assistiamo a una rinascita della questione ecologica, i dati sono così allarmanti da non poter essere elusi. Lo scarto fra le decadi – anni Settanta, oggi – è motivato dalla perdita di coscienza, da un decadimento culturale che ha investito la società guastandone ogni strato. Ha prevalso l’istinto predatorio dell’uomo, un concetto di benessere utilitaristico, vacuo. Ne paghiamo le conseguenze ogni giorno, l’emergenza ambientale è un problema cogente, ineludibile”.
La letteratura può essere ‘terapeutica’, una porta d’accesso al nostro immaginario etico-politico?
“Lo è anzitutto per chi scrive: la scrittura ha un valore terapeutico riconosciuto, è una lente sul proprio universo, sul dramma dello stare al mondo. La conoscenza parte da se stessi, e questa è già una porta d’accesso allo spazio pubblico, un modo onesto di comunicare. La parola scritta dovrebbe sempre arricchire, donare un plus di conoscenza. Certo, il corso odierno è scoraggiante, veniamo aggrediti da prodotti in serie, opere mainstream dal carattere ‘riposante’, a volte anestetizzante. La sfida della letteratura è enorme, e inizia dal ritorno al suo potenziale, al farsi strumento di azione e lotta. Nell’ultima decade abbiamo assistito a timidi tentativi, si è andata diffondendo una cultura alternativa, legata al recupero della terra, alla scoperta delle radici. Anche questo però è limitato, i margini di manovra sono sabotati dalle logiche di mercato, dalla legge delle vendite. Si tratta di gocce nell’oceano, che spero possano allargarsi, nutrire nuovi campi d’azione”.
Cosa puoi dirci della tua ultima prova, “Scene da un interno”?
“Si tratta di un libro di poesie, una prosecuzione della mia prima silloge. Nei versi io non faccio altro che tradurre le mie riflessioni, i pensieri sulla vita, gli interrogativi che mi pongo. Poi ci sono le suggestioni, gli interessi, lo sguardo sull’oggi. Nella prima raccolta non erano confluiti tutti i componimenti, così ho pensato di metter mano a un altro testo, costruito di materiali vecchi e nuovi, prelievi dalla mia produzione e recenti bagliori. Sono contento del risultato, ulteriormente impreziosito dalle letture critiche, in grado di trascendere le intenzioni autoriali e scavare a fondo, leggendo fra le righe – negli spazi bianchi del senso”.