Sclerosi multipla, i Neurofilamenti prezioso alleato per prevenire la malattia
I neurofilamenti a catena leggera possono essere un valido aiuto per intercettare precocemente l’attività silente della malattia e guidare decisioni terapeutiche tempestive e personalizzate, suggerendo la necessità di un possibile ricorso a terapie ad alta efficacia per il controllo della malattia


(AGR) Una delle sfide più insidiose nella gestione della Sclerosi Multipla (SM) è rappresentata oggi da coloro che, pur risultando clinicamente e radiologicamente stabili, nascondono un’attività di malattia silente. È il caso del cosiddetto paziente apparentemente stabile: una condizione che può essere riconosciuta grazie all’osservazione clinica, un dialogo medico-paziente continuo e aperto e con l’utilizzo di biomarcatori innovativi.
In questo contesto, i neurofilamenti a catena leggera (NfL) – proteine rilasciate nel sangue in seguito a danno neuro-assonale, inizialmente studiate in ambito di ricerca e oggi approvate anche per l’uso clinico (certificazione CE) - stanno emergendo come biomarcatori in grado di rilevare in modo precoce e affidabile l’attività di malattia non rilevabile dalla risonanza magnetica5 permettendo agli specialisti di guidare in modo più preciso e tempestivo le decisioni terapeutiche e di migliorare la gestione personalizzata della malattia.
Il valore prognostico degli NfL è stato confermato da diversi studi clinici6,7, tra cui un ampio studio osservazionale multicentrico, pubblicato su The Lancet Neurology8, che ha seguito per quattro anni 814 pazienti con SM recidivante-remittente di nuova diagnosi, reclutati in 22 centri. I risultati hanno mostrato che livelli sierici più elevati di NfL, misurati con tecnologia a singola molecola, sono associati alla presenza di lesioni attive alla risonanza magnetica, a un maggior rischio di ricadute cliniche e alla necessità di intensificare la terapia nel tempo.
Un recentissimo studio prospettico, pubblicato a marzo 2025 su Frontiers in Neurology1, ha analizzato l’ampia letteratura disponibile confermando il ruolo chiave dei NfL anche nei pazienti in apparente stabilità clinica e radiologica. I risultati hanno mostrato che un valore elevato di NfL nel sangue è fortemente associato a un aumentato rischio di perdere lo stato di NEDA-3 (nessuna evidenza di attività di malattia) entro l’anno successivo. Inoltre, i livelli di NfL risultano spesso elevati in presenza di sintomi subclinici come affaticamento persistente, esordio improvviso di ansia o depressione, lievi alterazioni cognitive non associate a nuove lesioni visibili alla risonanza magnetica. In questi casi, l’utilizzo del NfL come biomarcatore di allerta precoce può guidare il neurologo verso un monitoraggio più stretto con risonanze magnetiche più frequenti oppure una modifica della strategia terapeutica, anche in assenza di segnali “tradizionali” di attività1.
“L’identificazione tempestiva del paziente con stabilità di malattia solo apparente grazie alla misurazione dei neurofilamenti plasmatici (NfL) ci permette di anticipare le scelte terapeutiche e adottare, fin da subito, trattamenti di alta efficacia mirati a un miglior controllo della malattia anche nel lungo periodo - dichiara il Prof. Diego Centonze, Professore Ordinario di neurologia presso l’Università Tor Vergata a Roma e direttore dell'unità di neurologia dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli - Integrare questo biomarcatore nella pratica clinica significa compiere un vero cambio di paradigma: passare da un approccio reattivo, basato sulla comparsa di segni clinici o radiologici, a un modello proattivo, incentrato sull’identificazione precoce del rischio e sulla personalizzazione dinamica del trattamento.”
In questi pazienti, il dato biologico fornito dal NfL può quindi cambiare le carte in tavola: permette di anticipare un peggioramento clinico e di valutare precocemente una possibile escalation terapeutica. Le terapie ad alta efficacia, già ampiamente validate in studi clinici e nella pratica reale, si sono dimostrate in grado di ridurre i livelli di NfL nel sangue, controllare l’attività infiammatoria e, soprattutto, rallentare la progressione della disabilità1. Inoltre, in molti pazienti è possibile utilizzare l’autosomministrazione domiciliare ad alta efficacia, con un conseguente miglioramento non solo della prognosi ma anche della qualità di vita della persona con SM1.
“Il dosaggio dei neurofilamenti plasmatici (NfL) è uno strumento prezioso, ma non può essere interpretato da solo: va sempre integrato con la risonanza magnetica e la valutazione clinica – continua il prof. Centonze - Solo attraverso questa lettura combinata possiamo garantire un controllo più tempestivo della malattia. In questo percorso, il ruolo del paziente è centrale: è fondamentale incoraggiarlo a segnalare anche i sintomi più lievi. Un dialogo continuo e trasparente tra medico e paziente è essenziale per migliorare gli esiti clinici e affrontare la Sclerosi Multipla in modo più consapevole e condiviso”.
L’integrazione strutturata di questo biomarcatore nei PDTA rappresenterebbe un passo in avanti significativo verso una gestione più tempestiva, consapevole e orientata alla prevenzione del danno neurologico.
“Come azienda impegnata da anni nell’area della Sclerosi Multipla, patologia complessa la cui gestione è in continua evoluzione, crediamo che l’innovazione debba essere accessibile e tradursi in strumenti concreti per migliorare la pratica clinica e, soprattutto, la vita dei pazienti», afferma Paola Coco, Chief Scientific Officer and Medical Affairs Head Novartis Italia- Il nostro impegno va in questa direzione: contribuire all’evoluzione del Servizio Sanitario Nazionale promuovendo modelli di gestione più precoci, efficaci e sostenibili, nell’interesse dei pazienti e della comunità scientifica”.
foto archivio AGR