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Cardiomiopatie rare: le raccomandazioni italiane per la diagnosi e il trattamento

Il documento, a prima firma del Prof. Giuseppe Limongelli (Napoli), è stato appena pubblicato sul prestigioso International Journal of Cardiology, gli specialisti potranno essere maggiormente supportati sia nella formulazione dell’ipotesi diagnostica che nella gestione del paziente.

printDi :: 13 aprile 2022 12:26
Cardiomiopatie rare: le raccomandazioni italiane per la diagnosi e il trattamento

(AGR) Le cardiomiopatie (CMP) sono un gruppo eterogeneo di malattie che hanno in comune la presenza di un'alterazione anatomo-funzionale che riduce la capacità del cuore di riempirsi o di pompare il sangue o che ne altera la funzione elettrica (ritmo cardiaco). Di questo tipo di patologie esistono anche forme rare, cioè con un’incidenza inferiore ad un caso ogni 2.000 persone: soprattutto in questi casi, la diagnosi può arrivare con molto ritardo. Ora, grazie a un elenco di raccomandazioni contenute in un position paper italiano, (comunica l'Osservatorio Malattie Rare ) appena pubblicato sull’International Journal of Cardiology, gli specialisti potranno essere maggiormente supportati sia nella formulazione dell’ipotesi diagnostica che nella gestione del paziente.

Il documento, a prima firma del Prof. Giuseppe Limongelli, responsabile della Unità di Malattie Genetiche e Rare Cardiovascolari dell’AORN dei Colli (Ospedale Monaldi), docente presso l’Università degli Studi Luigi Vanvitelli e Direttore Responsabile del Centro Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania, è nato dall’unione delle competenze dei professionisti della Società Italiana di Cardiologia (SIC) e della Società Italiana di Cardiologia Pediatrica (SICP). “Un ringraziamento – dichiara il Prof. Limongelli – va a tutti gli autori del documento e in modo particolare a Camillo Autore in qualità di chairman del Gruppo di Studio Cardiomiopatie della SIC, nonché ai presidenti Ciro Indolfi (SIC) e Silvia Favilli (SICP), che hanno creduto nel progetto”.

 
Per poter giungere a una diagnosi di cardiomiopatia rara è di primaria importanza che nel clinico insorga il “sospetto” della patologia. “È fondamentale che il cardiologo sappia individuare le cosiddette ‘red flags’, ossia i ‘campanelli di allarme’, i segni e i sintomi che da un quadro comune, come ad esempio può essere quello di un’ipertrofia, di uno scompenso o di una valvulopatia, possono portare alla diagnosi di una malattia rara”, spiega Limongelli in un’intervista rilasciata ad Osservatorio Malattie Rare (OMaR). “La corretta diagnosi può aprire la strada a trattamenti specifici, come nel caso della malattia di Pompe, una forma di glicogenosi per la quale è disponibile una terapia enzimatica, o come nel caso delle cardiomiopatie ipertrofiche legate alle RASopatie, causate da mutazioni germinali in geni che codificano per proteine coinvolte nella via di trasduzione del segnale RAS-MAPK. Una di queste, la sindrome di Noonan, in presenza di alcune mutazioni specifiche può essere trattata con il trametinib, un farmaco con funzione antitumorale ad oggi utilizzato per uso compassionevole. Il discorso vale anche per le cardiomiopatie rare dell’adulto, come la malattia di Fabry o l’amiloidosi. L’amiloidosi da transtiretina wild type, ad esempio, è una delle principali patologie rare che si possono celare dietro ad un comune scompenso cardiaco o ad una stenosi aortica e per le quali abbiamo terapie disponibili o sono in corso sperimentazioni con nuovi farmaci”.

Nel position paper italiano ci si sofferma poi sulla presa in carico del paziente con cardiomiopatia rara, che deve avvenire in un Centro di riferimento e basarsi, preferibilmente, su un approccio multidisciplinare. “È fondamentale che il Centro di riferimento a cui si rivolge il paziente abbia un’équipe in grado di seguirlo a 360 gradi, costruita ‘intorno’ alla malattia rara”, sottolinea Limongelli. “Le cardiomiopatie rare, infatti, presentano spesso complicanze sistemiche e necessitano della presenza di altri specialisti, oltre al cardiologo. Basti pensare ai pazienti affetti da amiloidosi, che devono essere seguiti anche dal nefrologo, del neurologo o dall’ematologo. All’Ospedale Monaldi – conclude il Prof. Giuseppe Limongelli – abbiamo creato un team multidisciplinare dedicato all’amiloidosi, uno per la malattia di Fabry e uno rivolto alle patologie neonatali e pediatriche”.

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