Obbligo di vaccino anti-Covid19: maneggiare con cura.
Crescono gli interrogativi sul vaccino anti-Covid19 e sulle possibili conseguenze nel mondo del lavoro
Obbligo di vaccino anti-Covid19: maneggiare con cura
(AGR) Lo Stato può rendere obbligatoria la vaccinazione per il Covid-19? Posso essere licenziato, se non mi vaccino? Queste sono tra le domande che, un numero crescente di persone, si sta ponendo in queste settimane, all’indomani dell’inizio della campagna vaccinale messa in atto, insieme ad altre nazioni, anche dal Governo Italiano.
La risposta a tali quesiti è complessa e certamente non può limitarsi ad un “si” o ad un “no”: quel che cercherò di fare, però, è di mettere a fattor comune alcuni strumenti attraverso cui costruire un ragionamento fondato sui principi generali dell’ordinamento internazionale ed interno (italiano) e permettere di addivenire ad una conclusione che possa essere ritagliata alle diverse situazioni che dovessero presentarsi nel corso del tempo e che si muovono, sostanzialmente, nella contrapposizione tra “obbligatorietà” e “non obbligatorietà” della vaccinazione in questione, con una ulteriore distinzione, in capo alla prima, di un dovere stabilito in capo alla generalità della popolazione o, invece, solo ad alcune categorie, lavorative o “sociali”, per come meglio si dirà di qui a poco.
Intanto, occorre dire che, quella contro il Covid-19, non sarebbe certo la prima vaccinazione, ove ciò accadesse, ad essere resa obbligatoria, in Italia: si ricorderanno, ad esempio, quelle sul vaiolo (sospesa nel 1977 e abolita nel 1981), che, a livello europeo, costituì il primo provvedimento coattivo in ambito sanitario e che vide contrapporsi, in un certo senso, un filone di pensiero che, nato in Germania, teorizzava la possibilità dello Stato di intervenire in modo coatto per garantire l’interesse collettivo alla salute (il fine era quello, naturalmente, di avere sudditi e, quindi, soldati e contribuenti in ottimo stato), ed un altro, che vedeva il suo caposaldo in Inghilterra, notoriamente patria delle dottrine liberali avverse a tutto ciò che, partendo dal potere del governo, poteva interferire sulle libere scelte dei cittadini, sulla difterite (1939), sulla poliomielite (1966), sul tetano (1968) e sull’epatite B (1991)[1].
A livello giuridico, tale possibilità è prevista, a livello internazionale, dalla Convenzione di Oviedo, mentre, a livello italiano, dalla nostra stessa Costituzione[2] che consente al legislatore di poter prevedere un obbligo in tal senso, a patto che, tale misura risponda ai criteri della ragionevolezza e della proporzionalità rispetto alle condizioni di fatto in cui lo stesso (obbligo) viene deciso, alla luce delle condizioni epidemiologiche in essere e delle conoscenze mediche, sempre in evoluzione, con l’obiettivo di contemperare diversi aspetti.
Come, infatti, affermato, ad esempio, da Michele Ainis - giurista e componente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) [3] “La Costituzione declina la salute come un diritto, non come un dovere. E questo ha una serie di riflessi sulla autodeterminazione di ciascuno, della disponibilità cioè di ciascuno del proprio corpo. In tal senso, l’articolo 32 della Carta riflette un principio fondante: il diritto alla privacy. Che rappresenta una barriera contro l’invadenza dei poteri pubblici e privati nella sfera di determinazione dei singoli. Questa è la prima faccia del diritto alla salute, per altro l’unico che viene proclamato fondamentale.
Poi però la Costituzione prevede i trattamenti sanitari obbligatori, tra cui certamente ricadono le vaccinazioni. L’obbligo del vaccino è dunque possibile, perché nonostante quanto detto, c’è un interesse a tutelare la salute altrui”.
A precisare i paletti, ancora, proprio l’attuale neo-presidente della Consulta, Giancarlo Coraggio, secondo cui “Nelle nostre sentenze abbiamo scritto che, in primo luogo, serve la certezza dei dati scientifici, attestata dalle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali competenti. (…) In secondo luogo, è necessaria l’accertata indispensabilità, per la tutela della salute e della vita dei cittadini, di un così pervasivo intervento”[4]. Dichiarazione sposata in pieno da Augusto Sinagra, avvocato e professore di diritto internazionale, secondo cui “la possibile obbligatorietà di un trattamento sanitario” può venire in essere “se questo è finalizzato a preservare la salute pubblica, come prevedono la Costituzione e la Convenzione di Oviedo che, in questa ipotesi, prescindono dal consenso del paziente”[5].
Se, quanto detto, costituisce il quadro generale, va anche detto, però, che per quanto riguarda i luoghi di lavoro vi siano degli obblighi pendenti in capo al datore di lavoro, tanto pubblico quanto privato, derivanti dalla normativa in materia di sicurezza, secondo i quali il suddetto sarebbe tenuto, naturalmente, a proteggere i propri dipendenti dai possibili rischi inerenti l’attività svolta, ivi compresa, in questo caso, quello del contagio.
In tale ottica, è plausibile, allora, che, il primo (datore di lavoro), possa chiedere ai secondi (suoi dipendenti) di sottoporsi al vaccino, per la tutela dei singoli e collettiva, ed è parimenti probabile che il lavoratore, il quale decidesse di non aderire, potrebbe, a quel punto, o essere spostato ad altra mansione (che magari lo ponga meno a contatto con altre persone), ove possibile, o, forse, anche rischiare il licenziamento.
Sebbene la domanda, a questo punto, potrebbe essere sul perché, nel caso un individuo non si voglia sottoporre al trattamento sanitario in questione, non possa continuare ad usare le normali precauzioni utilizzate fino a quel momento (mascherina, guanti, etc.), ritenute altrettanto valide (ragionare “a contrario”, d’altronde, vorrebbe dire che, finora, “non si sia stati davvero in sicurezza”).
Il problema di fondo, è che il vaccino da somministrare dovrebbe essere sicuro ed efficace, cosa che, al momento, non sembra affatto certa, al di là poi del dato secondo cui, anche chi si sia sottoposto ad esso, dovrebbe comunque continuare ad osservare le prescrizioni sanitarie imposte dalle competenti autorità, ivi compreso l’uso dei presidi di cui sopra.
Quindi, per venire a delle risposte, sulla base di quanto detto: se da una parte, lo Stato può imporre la vaccinazione, dall’altro, fin quando essa non sia obbligatoria, ciascun individuo può scegliere se sottoporvisi o meno, rinviando la propria decisione, in questo caso, evidentemente, a valutazioni di tipo morale, piuttosto che giuridiche.
In tale contesto, sicuramente complesso, come si è accennato all’inizio di questo scritto, per quanto riguarda i luoghi di lavoro, ferma la non obbligatorietà, in astratto, dell’obbligo vaccinale, non potrebbe escludersi, però, sia in ambito pubblico che privato, come pur da qualcuno paventato, la legittimità (che sarebbe poi tutta da confermare nelle relative sedi giurisdizionali) di un eventuale licenziamento o provvedimento disciplinare effettuato sulla base del fatto che un dipendente non si sia sottoposto al vaccino in questione, stante il dovere incombente sul datore di lavoro di preservare la salute dei suoi collaboratori.
Il tutto, viceversa, sarebbe più pacifico, naturalmente, ove intervenisse, in tal senso, un obbligo che, rispettati i criteri di cui sopra, a quel punto costringerebbe la generalità delle persone o le singole categorie (magari quelle più esposte al contatto con il pubblico o con persone “più fragili”- quelle “sociali” accennate all’inizio-, come quella sanitaria o quella scolastica, ad esempio) per le quali questo sarebbe stato previsto, ad adempiere alla prescrizione imposta, con tutte le conseguenze del caso ove vi fosse un diniego ingiustificato.
La politica ha, indubbiamente, una grande responsabilità, in un senso o nell’altro ma, quel che è certo, è l’innegabile evidenza di non poter continuare con le attuali misure di contrasto all’attuale pandemia che hanno causato, volenti o nolenti, degli effetti disastrosi a livello economico e sociale che, temo, dovranno ancora manifestarsi in tutta la loro devastante essenza.
[1] https://www.epicentro.iss.it/vaccini/ObbligoVaccinaleStoria
[2] Vedasi l’art. 32 secondo cui “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
[3] Vedasi l’intervista apparsa su www.ildubbionewes.it, del 2/01/2021.
[4] Vedasi l’intervista apparsa su “Repubblica”, il 29 dicembre scorso.
[5] Vedasi il link https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2747018545614211&id=100009182787667