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Foggia, sfruttamento dei braccianti, sette gli arresti, 14 ore al giorno di lavoro nei campi

Caporalato, i carabinieri sono risaliti attraverso una lunga indagine al sistema apparentemente legale, che era stato ideato. Due agricoltori foggiani dopo aver creato una società fittizia faceva reclutare centinaia di connazionali per lavorare in agricoltura

printDi :: 17 giugno 2021 15:11
Foggia, sfruttamento dei braccianti, sette gli arresti, 14 ore al giorno di lavoro nei campi

(AGR) Accertate e documentate le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti numerosi braccianti africani provenienti dagli insediamenti di Borgo Mezzanone e del Ghetto di Rignano, assunti da una locale cooperativa “schermo” operante sotto una cornice di apparente legalità nella gestione dei rapporti di lavoro, data dalla sola comunicazione di assunzione UNILAV, successivamente destinati “a titolo oneroso” ad altre aziende agricole per raccogliere i pomodori nelle province di Foggia e Campobasso, tutti in precarie condizioni igienico-sanitarie e in forte stato di bisogno.

Le prolungate, complesse e articolate indagini, hanno preso spunto dalla denuncia sporta presso gli uffici di Polizia del capoluogo Dauno da due cittadini della Guinea Bissau che lamentavano le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti per la raccolta di prodotti agricoli nelle campagne del Foggiano. Dalle condizioni di sfruttamento che hanno fatto emergere le due vittime, i Carabinieri riuscivano a svelare il sistema apparentemente legale, volto ad eludere i controlli, che era stato ideato. In particolare, due agricoltori foggiani dopo aver creato la società fittizia - funzionale a garantire una facciata di regolarità all’operazione - tramite un cittadino senegalese dimorante nella baraccopoli di Borgo Mezzanone reclutava o faceva reclutare centinaia di connazionali anche nel Ghetto di Rignano - per condurli a raccogliere pomodori presso i propri terreni di altre aziende committenti a bordo di furgoni e autovetture vetuste.

 
Servizi di osservazione e pedinamento sono bastati ai Carabinieri per comprendere le dinamiche: i braccianti africani venivano prelevati dalla baraccopoli di Borgo Mezzanone/Ghetto di Rignano e da lì, a bordo di precari automezzi, venivano trasportati - dietro pagamento al vettore in alcuni casi della cifra simbolica di 5 euro - nelle campagne di Manfredonia, Stornara, Foggia Borgo Incoronata, San Severo, Ordona (FG) ed il comune molisano di Campomarino per essere impiegati a ritmi estenuanti, senza i previsti dispositivi di protezione individuale e soggetti a controlli serrati da parte dei caporali.

L’operazione “SCHERMO”, condotta da marzo 2020 a Febbraio 2021, attraverso numerosissimi servizi di osservazione, controllo e pedinamento, anche con il fondamentale ausilio delle attività tecniche d’intercettazione telefonica, nonché dalle escussioni degli lavoratori e degli accessi ispettivi presso le aziende con successiva analisi della documentazione grazie alle quali è stato possibile cristallizzare il sistema di intermediazione e sfruttamento creato funzionale solo a garantire profitto per gli ideatori a svantaggio dei cittadini africani sfruttati.

Si partiva dalla creazione della società con fittizio amministratore - irreperibile dal 2011, passando dalla selezione e reclutamento della manodopera messa in piedi dalla “Cooperativa Schermo” resa possibile dal “caporale” dimorante nella baraccopoli di Borgo Mezzanone fino alla somministrazione abusiva dei lavoratori nei terreni di proprietà o comunque nella disponibilità degli imprenditori che ne traevano i profitti dall’utilizzo dei diseredati braccianti.

Venivano attuate delle strategie volte ad eludere i controlli dell’ispettorato e degli altri organi ispettivi, tramite la stipula di contratti di compravendita di prodotti agricoli e fatturazioni per operazioni inesistenti, in modo da non far apparire i reali datori di lavoro come effettivi titolari dei rapporti con i lavoratori reclutati, favorendo così i datori di lavoro ad eludere le leggi in materia. Invero, la “Cooperativa Schermo” forniva a titolo oneroso un “c.d. pacchetto di raccolta di pomodori in condizioni di sfruttamento”, fungendo come un’ agenzia interinale senza averne i requisiti ministeriali, favorendo così gli imprenditori ad eludere la legge sul collocamento (assunzioni del personale, l’elaborazione del Libro Unico del Lavoro e delle buste paga, la sottoscrizione di contratti di lavoro e gli adempimenti in materia di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro, Documento Valutazione dei Rischi, Visite mediche, formazione informazione e Dispositivi di Protezione individuale) riducendo i costi ai reali datori di lavoro, creando una lesione ai diritti dei lavoratori reclutati massimizzando così i profitti.

Agli indagati, 7 in totale, di cui 3 in carcere e 4 agli arresti domiciliari, viene contestato -a vario titolo- l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, di cui all’art. 603 bis del codice penale, recentemente modificato con la legge 199/2016.

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