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Il pareggio dell’Olimpico interrompe l’inseguimento della Roma

Roma-Sampdoria 1-1

printDi :: 23 dicembre 2021 15:02
Il pareggio dell’Olimpico interrompe l’inseguimento della Roma

(AGR) Per uscire indenni dai campi ‘lasciate ogni speranza o voi che entrate’ o per vincere partite con squadre che badano più a rompere il gioco avversario che costruirne di proprio, dal punto di vista strategico e tattico il calcio mette a disposizione la sconfinata esperienza accumulatasi nel corso della sua storia bisecolare, un pozzo senza fondo cui a tutt’oggi attingono a piene mani allenatori, tecnici e addetti ai lavori a vario titolo. Era largamente prevedibile che la Sampdoria sarebbe venuta all’Olimpico non per dare battaglia ma per portare via quel punticino tanto prezioso per la sua classifica, oggettivamente abbastanza traballante. Per centrare l’obiettivo del puntarello striminzito, cos’altro poteva fare, la Sampdoria, se non cercare di non svegliare il cane che dormiva placidi sonni, rincantucciandosi nella propria metà campo allungando il brodo il più possibile, perdendo tempo a più non posso sfruttando qualsiasi occasione propizia? Andava bene tutto: falli laterali battuti dopo interminabili conciliaboli fra sampdoriani, giocatori blucerchiati a terra a tempo indeterminato, magari dopo essere stati appena sfiorati, rimesse dal fondo che il bravo portiere blucerchiato Wladimiro Falcone, romano e romanista, effettuava dopo un paio d’ore, più che altro sollecitate dal pubblico spazientito, non certo dall’arbitro Giacomelli, quest’ultimo apparso, più che un direttore di gara, un vero e proprio turista fai da te, disorientato e distratto com’era, specie sulle botte che i romanisti andavano prendendo. Fatterelli, le botte doriane e le plateali perdite di tempo, ripetutamente ed inspiegabilmente lasciati correre fino a rasentare l’impudenza.

Purtroppo per i tifosi romanisti, la storia degli arbitraggi all’Olimpico è zeppa di stranezze, abbagli, sviste, palese ostilità e quant’altro nei confronti della Roma e a farne continuamente menzione si potrebbe rischiare di essere accusati di vittimismo. Ma, nel fare informazione, il giornalista è tenuto a raccontare tutto ciò che vede: ciò che abbiamo fatto commentando la direzione di gara di Giacomelli Piero da Trieste. Tuttavia, sebbene l’arbitro sia una delle componenti essenziali di un evento calcistico – una rimessa laterale assegnata erroneamente può cambiare il corso di una gara – nel commentare il suo arbitraggio non ci spingeremmo oltre una amichevole tirata d’orecchie perché, in effetti, il bruttissimo risultato dei giallorossi, esito di una partita giocata in modo pessimo, non è certo imputabile al signor Giacomelli, ma, in primis, proprio alla Roma. A chi altri sennò? La Roma non veniva da una delle sue solite crisette, ma dalla sonante vittoria contro l’Atalanta: entusiasmo della tifoseria alle stelle, nonostante le tante disavventure, Olimpico pieno come ai bei tempi, partita con risultato largamente alla portata dei giallorossi, avversari in lieve ripresa, sì, ma con una difesa non così impenetrabile. Insomma, i presupposti per una vittoria tranquilla, arrivata magari al termine di una partita durante la quale i tifosi romanisti di età non avevano avuto bisogno dei beta-bloccanti, c’erano tutti.

 
Mancava solo la voglia di vincere: contro l’Atalanta se ne era vista tantissima, contro la Sampdoria era invece esaurita. Non siamo qui a giudicare gli sbalzi umorali della Roma, che pure, visto l’andazzo altalenante del suo campionato, per un prosieguo sereno chi di dovere dovrebbe cercare di eliminarli, ma a raccontare di una partita che la Roma avrebbe dovuto vincere a mani basse e invece per poco non andava a perderla: pochi tiri in porta, iniziative velleitarie, buone più che altro per la partitella tra amici, e soprattutto il palo clamoroso, a portiere battuto, di Candreva al 52’, che avrebbe mandato la Sampdoria in vantaggio: a quel punto, con l’indolenza che regnava sovrana tra le maglie giallorosse, la Roma si sarebbe scossa dal torpore o sarebbe incappata in un’altra vergognosa sconfitta che la tifoseria avrebbe senz’altro considerato come un’ulteriore mancanza di rispetto nei suoi confronti? Nel primo tempo, la Roma ha tirato in porta una sola volta e la Sampdoria altrettanto, e nel secondo tempo, nonostante il livello di mediocrità del gioco romanista fosse al massimo, è arrivato il goal di Shomurodov, al 72’, frutto di una ispirazione del ragazzo, non certo di una superiorità romanista nei confronti della Sampdoria, che nei fatti non c’è mai stata. Un goal liberatorio ‘vabbè, ha giocato male ma vince…’ gioivano le legioni giallorosse, invece, a ben guardare non del tutto inaspettatamente, è arrivato il pareggio doriano con Gabbiadini, vecchia volpe d’area di rigore, che all’80’ la sbatte dentro e amen. Caduta in pieno nella trappola preparata da D’Aversa – gioco lento, ad addormentare la partita, ma in campana perché l’occasione giusta può sempre capitare – la Roma può recriminare solo con sé stessa e se alla fine del campionato mancheranno quei sei punti - buttati via con Bologna, Venezia e Sampdoria – per acciuffare il treno della Champions League, sarà solo colpa di chi indossa quella maglia solo per soldi. Né la squillante vittoria contro l’Atalanta né il mediocre pareggetto con la Sampdoria, arrivato a distanza di qualche giorno, aiutano a capire quale sia, attualmente, la vera Roma: semmai si potrebbe ipotizzare che l’esito di una delle due partite sia un’anomalia, ma vai ad indovinare quale: quello del Gewiss Stadium o quello dell’Olimpico?                                                                                                                                                                                                                                                        

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