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Amianto killer sui fili del telefono, l'INAIL condannata a riconoscere rendita alla vedova dipendente Telecom

L’uomo è morto di mesotelioma a causa dell’esposizione professionale alla fibra cancerogena nelle centrali romane, rischio riconosciuto per tutti i lavoratori dell’azienda telefonica. L’azienda utilizzava anche teli di amianto che venivano maneggiati e trasportati senza dispositivi di protezione.

printDi :: 10 gennaio 2024 14:22
Amianto killer sui fili del telefono, l'INAIL condannata a riconoscere rendita alla vedova dipendente Telecom

(AGR) di Donatella Gimigliano

Il Tribunale di Roma ha condannato INAIL alla costituzione in rendita di reversibilità in favore della  vedova di un dipendente Telecom deceduto per aver contratto un mesotelioma pleurico a causa dell’esposizione professionale a polveri e fibre di amianto mentre era alle dipendenze di Telecom Italia (già S.I.P, S.p.a).

L’uomo aveva prestato servizio in azienda per 20 anni, dal luglio del 1973 al marzo del 2003, come “addetto ad attività tecniche, specializzato in centrali telefoniche e ponti radio” svolgendo mansioni  nelle centrali romane di Appia (Via Sannio), Esquilino, Cinecittà e Colombo manipolando costantemente le sottilissime fibre di amianto durante la verifica dei materiali e della componentistica delle parti elettriche, e durante la sostituzione delle parti elettroniche usurate collocate negli isolatori, nei trasformatori e negli interruttori. L’azienda utilizzava anche teli di amianto che venivano spesso tagliati e maneggiati e trasportati senza appositi dispositivi di protezione. Esposizioni proseguite anche alla luce dei ritardi delle bonifiche.

Ad attestare gli effetti dell’esposizione la perizia del CTU medico legale, anche il COR Lazio, che dal 2001 svolge attività di sorveglianza dei mesoteliomi maligni incidenti nel Lazio, nel 2020, post mortem, aveva rilasciato un certificato di esposizione certa ad amianto.

L’INAIL aveva originariamente sostenuto l’assenza dell’esposizione all’amianto della vittima costringendo i familiari ad affidarsi all’Avv. Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, il quale ha impugnato il provvedimento e ha chiesto che il Tribunale di Roma accertasse la verità. 

Le tesi dell’ente si sono rivelate fallaci e il Tribunale ha accolto le istanze del legale condannando l’INAIL a riconoscere la malattia professionale, e quindi a costituire la rendita di reversibilità in favore della vedova del lavoratore che, solo di arretrati fino al 2020, ha maturato un risarcimento di 100mila euro. Nella sentenza viene certificata inoltre l’abnorme esposizione ad amianto anche degli altri dipendenti, infatti si legge che: “i lavoratori addetti all’installazione e manutenzione delle linee telefoniche potevano essere esposti per la presenza di materiali contenenti amianto all’interno delle canaline di posa dei cavi telefonici e/o per aver operato in edifici civili o industriali contaminati con presenza di materiali friabili, tipo rivestimenti in amianto nei pavimenti (linoleum), nei soffitti o anche spruzzato nelle pareti in edifici prefabbricati realizzati negli anni ’70 e fino alla messa al bando dell’amianto e dei prodotti che lo contengono (con legge 257/92) per documentata oncogenicità”. Una storia, che rappresenta un simbolo della lotta contro la fibra killer annidata nell’industria delle telecomunicazioni e che ha pagato con la vita un prezzo troppo alto che nessun risarcimento potrà colmare.

L’ONA è a disposizione per la tutela dei diritti di tutti i soggetti esposti con un servizio di consulenza tramite il sito https://www.osservatorioamianto.it o il numero verde 800 034 294.

foto archivio AGR

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